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LA BELLA E SANTA RIFORMA cini; dalle quali tutte il Signor Gesù Cristo ci ha liberati. Piaccia a sua Maestà che ora non siamo tentati più che mai da un'altra tentazione più sottile e sotto specie di bene, che è di lasciare il pristino rigore del silenzio, dei digiuni, della stretta e continua orazione, per darci in tutto e per tutto allo studio delle lettere, pensandoci di aver a far gran profitto, quando avremo lasciato il ben operare per imparare il ben dire ; e donde ci pensiamo di a vere a giovare al prossimo e illuminar ognuno, non ci intervenga quel che dice il nostro Serafico Padre S. Francesco : che i suoi Frati che lasciano lo spirito della santa orazione e divozione per darsi ai vani studi, pensandosi di illuminar il prossimo, diventeranno tenebrosi interiormente, accecati dal senso e dalla vana gloria e superbia, esteriormente ottenebreranno il prossimo col mal esem– pio (II, 485). LO STUDIO ORDINATO AL BENE OPERARE I libri ci insegnano a operar bene e il far quello cpe insegnano è complemento della lezione. Non per aver saputo e per aver letto si va in paradiso, ma per aver fatto quello che ci insegnano i libri (II, 281). «Sappiate - diceva Bonaventura da Montereale - che ogni dottrina e ogni scienza e ogni studio è ordinato da Dio al bene operare. Non per altro si deve studiare se non per imparare a far bene e per insegnar al prossimo di ben operare ; però chi ha la dot– trina senza le opere buone è come colui che ha la vigna senza frutto di buon vino. E come diceva il Padre S. Francesco: tanto sappiamo quanto facciamo bene e non più. E saranno puniti al doppio nel– l'inferno quelli che hanno saputo e non hanno operato, pii1 che gli ignoranti che non hanno saputo. E sappiate che le opere buone fanno conoscere più Dio che non fa la dottrina. La Chiesa di Dio, quando c'era poca dottrina e molte opere, era piena di santi; ora c'è molta dottrina e poche opere, non si vedono santi. Cosi la nostra Religione in quel principio erano tutti semplici e tutti santi, come vediamo del nostro Padre S. Francesco e dei suoi compagni » (III, 320).

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