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La gioia del padre Ignazio Non sarebbe completo il ritratto del nostro Cappuccino, se man– casse questo tocco, forse il più fine e grazioso: della gioia che gli cantava nell'anima e gli sprizzava nel sorriso. L'accenno ritorna spesso nei docu– menti, con l'insistenza di una nota dominante. La gioia appartiene a un carattere profondo della sua fisionomia e contiene un particolare interessante del suo messaggio. Questo: l'au– sterità della vita non intacca minimamente la serenità della francescana letizia; anzi la accresce nell'animo e la fa traboccare sul volto. Udii più volte il popolo ammirato ripetere: « Ma questo padre Ignazio ha la gioia del Paradiso in faccia! » (padre Paolo Francesco). Ne è così cosparsa tutta la sua vita che siamo stati costretti già a parlarne in vari punti. Ci sia ancora permesso un accenno sulla espansione esteriore della sua gioia: nel sorriso, nelle parole e nelle stesse lepidezze che formano - crediamo - una degna cornice al suo ritratto. Questo maestro di francescana letizia non ha mai preteso di rive– lare un segreto; anzi stupiva che non l'avessero scoperto gli altri quando andava ripetendo, quasi a giustificarsi del suo perenne sorriso: « Ma noi stiamo troppo bene.' ». Di fatto il segreto l'aveva già rivelato san Paolo che voleva i cri– stiani spe gaudentes, e si proclamava « traboccante di gioia in mezzo a tutte le tribolazioni» (Rom. 12, 12; 2 Corint. 7, 4). Padre Ignazio sperimentò questo stato d'animo fin dal suo ingresso tra i Cappuccini. « La speranza lo faceva gioire nelle pratiche peniten– ziali » appunto perché sentiva in queste sempre più temprarsi e ingi– gantirsi le sue speranze. « Osservammo che nei giorni di penitenza si mostrava più allegro che in quelli di sollievo » 10 • Non era questa la consegna precisa delle Costituzioni cappuccine (n. 253) e prima ancora del serafico Francesco? Per il Maestro di Mondovì l'altissima povertà deve naturalmente sfociare nella perfetta letizia. Se nei novizi scorgeva un'ondata di tri– stezza si metteva in apprensione come fossero sotto l'incubo del ma– ligno, diffusore del male babilonese. Così con san Francesco, definiva la tristezza (Celano, II, parte 2", cap. 88). 254

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