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tuna non davo più segni di vita. Un frate corre, per estremo rimedio, alla cella del Padre della stola: - Padre Ignazio, venga subito a benedire fra Vittorio che è mo– ribondo! - Ebbene, lo lascino andare in Paradiso! - mormorò il Padre. Ma il frate sulla porta insiste: - Mi manda il padre Guardiano Udito quel nome, padre Ignazio soggiunge tosto: - Sì, sì; vado, vado, vado!-. E venuto, mi benedi con le solite reliquie; non passa– rono 24 ore che io fui completamente fuori pericolo; nonostante le cure che mi fecero, io attribuisco la guarigione alla benedizione rice– vuta » "". Le lettere Le celebri benedizioni del Padre del Monte caricarono il povero cappuccino d'un altro lavoro ancora, per lo più connesso con la richiesta di benedizioni: moltissime lettere gli piovevano da ogni parte del Pie– monte, lettere alle quali il padre Ignazio, nella sua innata cortesia, non ometteva mai di rispondere al più presto possibile. La posta dei religiosi, per un favore del Re, viaggiava in franchigia, sicché le numerose lettere del Beato gravavano non sul bilanco del con– vento, ma sugli occhi malati del povero scrittore notturno. Occupato, infatti, tutto il giorno tra le opere di carità e le preghiere, si riduceva, di solito, a sbrigare la sua corrispondenza alle ore di notte "". Eccolo arrivare in cella ad ora tarda di notte; posa la lucerna sulla scrivania, aguzza la penna d'oca, poi ripiega in quattro il foglio di carta ordinaria, ne ritaglia una pagina rettangolare; seduto quindi al tavolino, smòccola il lucignolo della lampada, si asterge gli occhi anneb– biati dalle lagrime e, al lume saltellante della fiammella, traccia sul margine superiore della facciata, la solita sigla: Viva Gesù e Maria! poi a sinistra: Illustrissimo Signor mio e Padron mio colendissimo ... oppu– re Reverendo Padre mio osservantissimo... Tiene sospesa un istante la penna per ravviare bene il pensiero, quindi avanti; sulla ruvida carta scricchiola ·senza posa la penna. 237