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Ma questa sete di patimenti non s'estingueva. In una lettera al suo fratello e figlio padre Francesco da Verduno il Beato ritorna sul tema della croce « che è un segno desideratissimo di predestinazione »: gli ricorda che la strada della croce « è la strada obbligata del Paradiso », e dopo averlo animato a portare senza timore la propria croce, conclude così: « Io sì che devo molto temere di me, che passo oziosamente la vita senza sapere che cosa siano le croci.' » (Lettera V, 7). Dove appare evidente che la sua sete gli dava tali brame da ritenere troppo piccole quelle sue croci, che i confratelli giudicavano assai grandi. La feccia dell'amaro calice Quanto più quest'anima eletta s'illumina nella luce della santità di Dio, tanto più prova il bisogno di sprofondarsi nel sentimento della propria indegnità e di liberarsi sempre più dalle scorie del peccato che vede in sé orribilmente ripugnanti. Siamo agli ultimi stadi di quella dolorosa Via Crucis che la Teologia mistica denomina La notte della purificazione passiva. L'eroico cappuccino del Monte, ansioso di conformarsi al divino modello del Calvario, dovette anche sorbire alcune stille dell'amaro calice di Cristo, e cioè l'angoscia di sentirsi, per la sua indegnità, come respinto dalla santità di Dio. L'intima sofferenza di questo purgatorio in terra, trapela spesso nelle lettere ai suoi confratelli; lettere confidenziali che effondono la sua anima in richieste di preghiere: « delle quali abbisogno tanto che non posso esprimere » e nelle quali « confido al pari del bisogno che ne tengo ». In queste lettere, alla firma segue l'unico titolo che il Beato sente convenirgli davvero: S.C.I. (Sacerdote Cappuccino Indegno). Davanti a quest'intima e sofferta convinzione è facile comprendere la intolleranza del Beato per quei segni di venerazione che la folla gli tributava. Ogni lode gli giungeva ingrata, come un'ironia alla sua miseria, un inganno alla buona fede del popolo, e un'offesa alla verità stessa di Dio. Al padre Ermenegildo, depositario delle sue confidenze, padre Igna– zio andava ripetendo: « Padre Guardiano, questo convento non è il 182
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