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glie, esasperati dai disagi, avviliti nel sentirsi, forse per la prima volta, inchiodati in letto da ferite o, peggio, dalla pestilenza che stroncava senza pietà tante giovani esistenze. Vi affluivano d'improvviso da tutte le zone di combattimento per un pronto soccorso, piangenti, imprecanti alla mala sorte; e il tempo urge, il personale scarseggia: i Cappellani devono allora trasformarsi in infermieri. Padre Ignazio non ha bisogno di sprone per gettarsi nel penoso lavoro; anche qui riudiamo sulle labbra dei testi, che vogliono descri– vere la sollecitudine di lui, l'immagine di una madre che va curando i suoi figli. Padre Severino da Poirino, suo compagno di lavoro ne rievocava più tardi lo zelo stupendo, unito ad una disinvoltura e serenità così caratteristica da accaparrargli tosto l'ammirazione e la venerazione degli ufficiali dell'Ospedale•. Più sorprendente ancora: tutta questa dedizione non gli impediva di attendere alle pratiche di pietà conventuali: orazioni, meditazioni, discipline, come se si trovasse tuttora nel Noviziato di Mondovì. Ma dove trovava il tempo? Eh, sulle ventiquattro ore del giorno, qualche ora suppletiva la trovava sempre! Nel giorno o... nella notte. Agli addetti al servizio dell'ospedale veniva concessa un'ora di svago o di libera uscita. Padre Ignazio, ci dicono i testi, non si vedeva mai alla solita passeggiatina". Il suo svago? Una capatina da un letto all'altro, una chiacchiera con qualche ricoverato più... duro o più preoc– cupante. Arrivava lieve lieve, come un ·angelo, al capezzale dell'infermo; un saluto, una domanda del più e del meno: sofferenze? La mamma lon– tana? L'impiego interrotto? Avviato così il discorso, tornava facile all'ex-Maestro conoscere l'animo del malato, e, partendo da qualunque parte, arrivare al suo centro: Dio, l'anima, la salvezza eterna. Rubando al sonno... Certamente le sorprese della vita di campo, come pure l'assistenza ai feriti o infetti, non lasciavano sempre rispettare i diritti del riposo notturno: necessità non conosce legge! 117

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